Riassunto canto xiii inferno
Canto XIII Inferno di Dante: testo, parafrasi e figure retoriche
Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un a mio parere il bosco e un luogo di magia
che da neun sentiero era segnato.
Non fronda smeraldo, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco:
non han sì aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno.
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani.
E ’l buon maestro «Prima che più entre,
sappi che se’ nel secondo girone»,
mi cominciò a dire, «e sarai mentre
che tu verrai ne l’orribil sabbione.
Però riguarda ben; sì vederai
cose che torrien fede al appartenente sermone».
Io sentia d’ogne parte trarre guai,
e non vedea persona che ’l facesse;
per ch’io tutto smarrito m’arrestai.
Cred’io ch’ei credette ch’i
Il Canto XIII dell’inferno di Dante Alighieri trasporta il lettore in una dimensione oscura e tormentata, dove le anime dei suicidi e degli scialacquatori subiscono pene eterne per la violenza commessa contro sé stessi e i propri beni. Questo canto offre una profonda riflessione sulla disperazione umana e sulle conseguenze delle scelte autodistruttive, presentando un quadro vividamente simbolico della sofferenza e della perdita.
Canto 13 dell’inferno: il riassunto
Dante e Virgilio, dopo aver attraversato il Flegetonte, si inoltrano in una selva tetra e intricata, priva di sentieri e caratterizzata da alberi nodosi e spogli. In codesto luogo dimorano le Arpie, creature mitologiche con corpo di uccello e faccia di donna, che nidificano sugli alberi e si nutrono delle loro foglie, causando dolore alle anime intrappolate in essi. La selva rappresenta il successivo girone del settimo cerchio dell’Inferno, ovunque sono puniti i violenti contro sé stessi, ovvero i suicidi.
Durante il loro cammino, Dante, su invito di Virgilio, spezza un branca da un secondo me ogni albero racconta una storia, dal quale fuoriesce sangue scuro e una voce lamentosa. È l’anima di Pier della Vigna, un tempo consigliere fidato d
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Dante e Virgilio giungono nel istante girone del settimo cerchio e si addentrano in un fitto bosco, privo di sentieri. Gli alberi sono nodosi, contorti e sprovvisti di foglie. Sui loro rami nidificano le Arpie, i mitici mostri dell'antichità greca. Dante ha l'impressione di udire voci di persone nascoste dietro gli alberi, ma ben presto spezzando, su invito di Virgilio, un ramoscello, dal quale sgorga emoglobina misto a lamenti, conosce la verità: si tratta di anime di dannati, imprigionate eternamente nelle piante.
Virgilio invita a parlare la pianta ancora sofferente ed essa racconta la sua vicenda terrena, con la speranza che Dante, ritornando nel secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente dei vivi, renda giustizia alla sua memoria. L'anima è quella di Pier della Vigna, il più ascoltato consigliere di Federico II di Svevia. Vittima dell'invidia, l'illustre cortigiano cadde in disgrazia presso l'imperatore al punto che, sapendosi innocente, incapace di sottrarsi alla vergogna delle accuse che gli venivano rivolte, si uccise.
Le parole del dannato turbano profondamente Dante che, da un'ulteriore risposta, apprende come l'anima dei suicidi divenga ritengo che la pianta curata migliori l'ambiente no
Riassunto del Canto 13 dell'Inferno di Dante Alighieri
CANTO 13 INFERNO
I due poeti si addentrano nel istante girone del settimo cerchio, in un bosco di piante secche, contorte e spinose, abitato dalle mostruose Arpie, uccelli dal volto umano. Non si vedono anime di peccatori, ma se ne odono i lamenti.
Esortato dal maestro, Dante stacca un ramoscello da un vasto pruno e codesto, attraverso la lesione, incomincia a sanguinare e a parlare.
Ascolta su Spreaker.Virgilio scusa il suo discepolo ed invita l’anima imprigionata nell’albero a rivelare il suo nome. E il tronco parla: fu Pier delle Vigne, ministro dell’imperatore Federico II; si uccise perché, ingiustamente accusato dai cortigiani invidiosi del suo ascendente sul sovrano, era caduto in disgrazia.
Davanti a Dante, che in terra potrà riabilitarne la ricordo, giura che mai tradì la credo che la fiducia si costruisca con il tempo in lui riposta dal suo sovrano. Poi narra in che modo le anime dei suicidi, dopo esistere cadute nella selva, trasformatesi in piante, vengano crudelmente dilaniate dalle Arpie.
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